ATTO PRIMO


Scena Prima

(Sala nel palazzo. Il provveditore Paolo Erisso siede taciturno presso una tavola. Altri capitani gli siedono intorno. Calbo e Condulmiero chiudono il circolo, sedendo l'uno incontro all'altro)

I DUCI
Al tuo cenno, Erisso, accolti
qui già vedi i tuoi guerrieri.
Ma… tu taci, e non ascolti?..

(fra sè)

Mille torbidi pensieri
gli vegg'io scolpiti in fronte.
Giusto ciel! di Negroponte
il destin qual mai sarà?

ERISSO
Volgon due lune or già, veneti eroi,
che di Bisanzio il vincitor superbo
d'oste infinita e fera
queste mura circonda.
Noi noverar co' giorni
i cimenti e i trionfi ancor possiamo.
Ma… l'avvenir qual sia?
Spento de' nostri il più bel fior già cadde;
crollan le mura col tempestar de' bronzi;
il morbo struggitor, la dura fame
mietono a gara il popolo innocente;
e Maometto minaccia incendio e morte,
se schiuse al novo dì non sian le porte.
Io veggo in sì rio stato, veggio egual periglio
se all'onor chieggo o alla pietà consiglio.
Risolversi che deggia
ognun libero esponga, ed il pensiero
del numero maggior per me sia legge.

I DUCI
Risponda a te primiero
il prode Condulmiero,
che pari ha nel periglio
il braccio ed il consiglio.

CONDULMIERO
Quando ogni speme è tolta,
allor l'audacia è stolta,
ed il men reo consiglio
sta nel minor periglio.
Il folle e non il forte
va cieco incontro a morte.
Cedasi in tal momento.
A più feral cimento
serbiam le spade e il sangue:
io primo allor esangue,
io primo allor cadrò…

CALBO
(Sorgendo)
Guerriero, che parli?
Estremo consiglio
del forte è la spada.
Non temo il periglio:
si pugni, si cada
nell'arduo cimento;
e covran mia fosse
de' barbari a cento
le ceneri e l'ossa.
Impari il superbo
che duro, che acerbo
è il vincer pugnando
contro italo brando.
Al nobile esempio,
all'orrido scempio
si accresca con l'ire
il veneto ardire;
e a tanta costanza,
depressa, avvilita
del barbaro scita
sia l'empia baldanza.

ERISSO
A tanta costanza,
ai forti suoi detti
ribolle ne' petti
l'antica baldanza.

CALBO
Si pugni, si cada,
ruotando la spada
nell'arduo cimento.
Poi covran mia fossa
de' barbari a cento
le ceneri e l'ossa.

I DUCI
A tanta costanza,
ai forti suoi detti
ribolle ne' petti
l'antica baldanza.

CALBO, ERISSO, CONDULMIERO
Si pugni, si cada,
ruotando la spada
nell'arduo cimento.
Poi covran mia fossa
de' barbari a cento
le ceneri e l'ossa.

ERISSO
Basta, non più.
V'intesi, o prodi, o veri
cittadini e guerrieri.
Udir da' labbri vostri il generoso
consiglio io sol bramava, e tanto ottenni.
Dunque giuriam sui brandi
per la patria, per l'are
pugnar fin che di sangue
stilla ci avanza in petto;
ché nel bivio crudel d'infamia o morte,
dubbio non è qual via trasceglie il forte.

(Snuda la spada e la presenta ai duci, che lo imitano e giurano, toccando colle loro spade quella di Erisso.)

TUTTI
Sì, giuriam sugl'itali brandi,
degl'infidi nel sangue già tinti,
che trafitti, non supplici o vinti,
Maometto al suo piè ci vedrà.
Sì, giuriamo su' veneti brandi.
Se non cangia la sorte severa,
Negroponte alla veneta schiera
monumento e sepolcro sarà.

ERISSO
Or partite, guerrieri. Al dì novello
l'ultimo assalto il Musulman minaccia;
nuovo vigor quindi a voi porga il sonno.
Allo spuntar del giorno
pugnerete da forti a me d'intorno.
E al numero il valor se sia che ceda,
e abbandonar l'ampia città si debba,
ratto allor nella rocca
a novello cimento
ritraggasi chi ancor non fu qui spento.

(Tutti partono, fuorché Calbo trattenuto da Erisso.)

Calbo, tu m'odi. Il mio dover compiuto
di duce e cittadin, dover diverso
né men sacro or si compia.
Ahimè!.. son padre di tenera,
leggiadra unica figlia.
Appien tu la conosci,
e al par di me tu l'ami.
Or pensa il suo periglio
come tremar, come agghiacciar mi faccia.

CALBO
Com'io pur tremo e agghiaccio.

ERISSO
Seguimi or dunque.

CALBO
E che far vuoi?

ERISSO
Mi segui.
Presso alla figlia mia
del padre il voto ascolterai qual sia.

Scena Seconda

(Gabinetto di Anna Erisso; una lampada lo rischiara)

ANNA
Ah! che invan sul mesto ciglio
chiamo il dolce oblio de' mali.
Non ho pace al rio periglio
in cui veggo il genitor.
E il timor se tace appena,
son d'amor gli occulti strali
onde ognor di pena in pena
palpitante ondeggia il cor.
Pietoso ciel!

ERISSO
Figlia…

ANNA
Che vegg'io! Padre,
qual grave cura a me nell'alta notte
sollecito ti guida?

ERISSO
Il tuo periglio.

ANNA
Il mio periglio! ahimè!

ERISSO
M'abbraccia, e ascolta.
Or che ad estremo disperato assalto
il nemico s'appresta, io pe' tuoi giorni,
Anna, pavento. Io sol finora, io fui
di tua virtù, dell'innocenza tua
il consiglio e lo scudo.
Or più non basto io solo, or che un istante,
un trar di spada può troncar mia vita.

ANNA
Misera me! Che dici?

ERISSO
Addoppiar le difese a te d'intorno
amor mi suggerisce, e un altro braccio
a tuo schermo apprestar, che compier possa
teco mie veci, ov'io cadessi.

ANNA
Ahi, padre!

ERISSO
Il tuo secondo difensor sia Calbo.
Egli, gran tempo è già, t'ama, e no'l disse
che al padre tuo. Sposa ti chiede.

ANNA
(fra sè)
Lassa!

ERISSO
E più degno consorte aver giammai,
no, non potresti, o figlia. Or vieni al tempio.
Là dove il sacro cenere riposa
della spenta tua madre,
stringer mi lascia un sì bel nodo, o cara,
e il mio timor sia spento appiè dell'ara.

CALBO
(fra sè)
Che sento!

ANNA
(fra sè)
Io son perduta.

ERISSO
A che t'arresti?

CALBO
Anna, tu taci? Alto stupor ti leggo
in volto espresso. Il tuo bel cor dischiudi
al padre ad all'amico; e se pur sia
che tal nodo tu abborri, il tuo pensiero
libera esponi, e me primiero udrai
a tua difesa ragionar.

ERISSO
Che vegg'io!
Figlia, tu piangi? Oh, qual crudel sospetto
in me tu desti!

ANNA
No, tacer non deggio
più il vero omai. Tradirvi
non posso entrambi, nè immolar me stessa.
Già d'altra fiamma accesa.

ERISSO
Oh, mio rossor! Prosegui.

ANNA
Indegno, credi,
non è d'Erisso l'amator mio primo.

ERISSO
Chi è costui? Favella.

ANNA
Il Sir di Mitilene, il prode Uberto.

ERISSO
Uberto! E quando il conoscesti?

ANNA
Allora
che tu in Venezia, per due lune e due,
ed oro ed armi a dimandar restavi,
me lasciando in Corinto.

ERISSO
Allor? Che ascolto!

CALBO
Prosegui… ahimè!..

ERISSO
Meco in Venezia Uberto
venia sul legno istesso; e vi rimase
quando a te fei ritorno.

ANNA
Misera! il ver tu dici?
Chi dunque, ahi! meco il nome
volle mentir d'Uberto?

ERISSO
Chi sia non so; ma un mentitor fu certo.

ANNA, CALBO, ERISSO
(fra sè)
Ohimè! qual fulmine
per me fu questo!
Ahi, qual terribile
colpo funesto!

ANNA
(fra sè)
Conquisa l'anima
dal vile inganno,
prorompe in lagrime
l'interno affanno;
e il guardo, ahi, misera
nel mio rossore
non sò più volgere
al genitor.

ERISSO
(fra sè)
Conquisa l'anima
dal vile inganno,
il cor mi squarciano
ira ed affanno.
Ma pur la misera
col suo dolor
raffrena gl'impeti
del mio furor.

CALBO
(fra sè)
Conquisa l'anima
dal vil inganno,
il cor mi squarciano
ira ed affanno.
Non sa la misera
nel suo rossor
più il guardo volgere
al genitor.

ERISSO
Dal cor l'iniquo affetto
sveller t'è forza, o figlia:
tanto l'onor consiglia.

ANNA
Figlia mi chiami ancor?
Sì, svellermi dal petto
il cor saprò se…

(Un lontano colpo di cannone interrompe il colloquio. Tutti restano immobili e sorpresi. Breve silenzio. Un grido di allarme si sente poco dopo. Erisso e Calbo pongono mano alle spade e partono precipitosamente senza far motto. Anna li siegue per pochi passi, indi ritorna indietro agitatissima.)

ANNA
Che avvenne? Oh Dio!
Lo strepito della battaglia ascoltasi.
Ahi, forse un tradimento
nel notturno cimento…
Io gelo. Oh, duol! Nel tempio
del ciel si voli ad implorar l'aita
che salvi almen del padre mio la vita.

(Parte precipitosamente.)

Scena Terza

(La piazza della città di Negroponte. A dritta dello spettatore un tempio: in fondo una larga via, che sarà disposta obliquamente in guisa che il principio della medesima si nasconde all'occhio dello spettatore sulla sua sinistra. La musica da questo momento, finché non giunge Erisso sulla scena, deve sempre indicare il lontano tumulto della battaglia. Di tratto in tratto si odono de' colpi di cannone e delle scariche di moschetti. Alcune Donne accorrono allo strepito, incerte ed atterrite, aggirandosi per la scena)

LE DONNE
Misere!.. or dove, ahimè!
volger l'incerto piè?
Dell'armi il rimbombar,
de' bronzi il fulminar,
tutto tremar ci fa.
Che mai… che mai sarà?

ANNA
(Accorrendo anch'essa tremante e sbigottita.)
Donne, che sì piangete,
che avvenne? Deh, rispondete.

LE DONNE
Al musulman le porte
dischiuse un traditor.
Tutto già intorno è orror,
incendio e morte.

ANNA
(Sempre più spaventata, corre ad inginocchiarsi avanti il tempio.)
Giusto ciel, in tal periglio
più consiglio
più speranza,
non avanza,
che piangendo,
che gemendo,
implorar la tua pietà.

LE DONNE
(Inginocchiandosi pur esse.)
Giusto ciel, in tal periglio
più speranza
non avanza
che implorar la tua pietà.

(Sul finir di questa breve preghiera si sente un tamburo, che si accosta. Incomincia a sfilare una parte della guarnigione, attraversando la scena sollecitamente da dritta a manca. Anna ed il coro, vedendo i soldati, sospendono la loro preghiera, ed accorrono verso di quelli. Erisso e Calbo sopraggiungono con le spade ignude.)

ANNA
Ahi, padre!

ERISSO
(fra sè)
Oh vista!

ANNA
Ad abbracciarti io torno.
Narra.

ERISSO
Fuorchè l'onor, tutto è perduto.
Ogni speranza un traditor invola.
Sulle mura è il nemico, e grazie al cielo
or' io sol porgo, che d'occulti inganni
temendo Maometto, il corso arresta
di sua vittoria e attender vuole il giorno.
Or, miei fidi, alla rocca.

ANNA
Oh, padre mio, fermati… ascolta.

ERISSO
Udir non posso. Addio.

Figlia, mi lascia. Io volo
ove il dover m'invita.
Dal pianto tuo tradita
la patria non sarà.

ANNA
Padre!
E in tal periglio e duolo
lasciar tu puoi la figlia?
Qual nume a te consiglia
cotanta crudeltà?
Teco venir…

ERISSO
T'arresta, seguir non dei tu il padre.

ANNA
Qual dura legge è questa!

ERISSO
Sol le raccolte squadre
sull'alta rocca andranno
a far le prove estreme
d'intrepido valor.

ANNA, LE DONNE
E noi qui fuor di speme,
dover tiran ci lascia
dell'onta al nuovo orror?

CALBO
Mira, signor, quel pianto,
e cangia il tuo consiglio.
Le invola a tal periglio:
parli al tuo cor pietà.

ANNA
Vedrai su quelle mura
pur noi pugnar da forti,
vibrar pur noi le morti;
far siepe i nostri petti
a' tuoi guerrieri eletti,
e in essi il nostro esempio
valore accrescerà.
Padre, ti muova il pianto
a men crudel consiglio.
M'invola al rio periglio,
parli al tuo cor pietà.

ERISSO
Le voci di natura
tutte nel cor già sento;
ma in sì crudel momento
delitto è la pietà.
Ma indarno or voi piangete,
donne, al destin cedete.
Se i voti vostri ascolta
la cieca mia pietà,
con voi la fame accolta
da' miei guerrier sarà.
Pietà sì dura e stolta
chi a me consiglierà?
Partiam, guerrieri… Addio

LE DONNE
Mira, signor, quel pianto
e cangia il tuo consiglio.
C'invola a tal periglio,
parli al tuo cor pietà.

ERISSO
Invola al rio periglio,
parli al tuo cor pietà.

ANNA
Ahi padre! ah padre mio;
de' barbari all'oltraggio
così lasciarmi?

ERISSO
O cara,
prendi il pugnal. Retaggio
paterno a te sia questo
in giorno sì funesto.
Va', corri appiè dell'ara,
e pria che in te la mano
distenda il musulmano…
Figlia…

ANNA
Prosegui…

ERISSO
Addio.

ANNA
Dicesti assai. T'intendo.
Vedrai che appien somiglia
al genitor la figlia,
e pria che in me la mano
distenda il musulmano,
questo pugnal da forte
nel cor m'immergerò.

ERISSO
(fra sè)
In sì crudel tormento
squarciarmi a brano a brano,
misero, il cor mi sento.
O patria, a te qual figlia
vittima immolerò!

ANNA
(fra sè)
A sì crudel tormento
squarciarmi a brano a brano,
Ah Dio! il cor mi sento.
Ahi, qual perversa sorte
Il ciel mi destinò!

CALBO
(fra sè)
In sì crudel momento
squarciarmi a brano a brano
in petto il cor mi sento.
Misero, ahi, qual consorte
il fato m'involò!

LE DONNE
(fra sè)
A sì funesta scena
attonita, gemente,
fra meraviglia e pena
mancarmi il cor mi sento.
Ahi, per qual empia sorte,
dal figlio, dal consorte
dividermi dovrò!

(La musica ed il canto cesseranno ad un tratto. Erisso ed Anna si abbracciano teneramente. Calbo cade appiè di Anna, che gli porge la mano. Intanto alcune delle donne del coro corrono ad abbracciare taluni fra' soldati, in attitudine di madri o di spose. Ricominciando la musica tutti si separeranno, dandosi a vicenda l'ultimo doloroso addio. Erisso e Calbo partono per la rocca. Anna, seguita dalle altre donne, si ritira nel tempio)

Scena Quarta

(Giorno. Una schiera di cavalieri musulmani sopraggiunge entrando dalla dritta dello spettatore; si arresta alquanto per riconoscere qual via debba trascegliere per inseguire i fuggaschi. Indi al segnale del comandante si avvierà per la via grande che mette capo in fondo del teatro. Incominciasi ad ascoltare da lontano il suono delle bande turche. Dopo un istante la schiera di cavalleria ritornerà, girando a sinistra dello spettatore, sulle tracce di Erisso. Sopraggiunge buon numero di soldati turchi, alla rinfusa ed armati di faci)

I SOLDATI MUSULMANI
Dal ferro, dal foco
nel sangue sommersa
l'avversa città
al mondo suo scempio
esempio sarà.
Che all'urto invincibile
del nostro valor
periglio è resistere
con cieco furor.

(Verso la fine del coro sopraggiunge Maometto alla testa delle sue truppe, e circondato da tutta la pompa militare ed asiatica. Alcuni de' suoi soldati fanno sembiante di volere appiccare il fuoco agli edifizi ed al tempio. Maometto con un cenno gli arresta. Egli pone piede a terra, seguito dal suo visir Selimo e dagli altri generali. Tutti si prostrano, attendendo i suo ordini)

MAOMETTO
Sorgete, in sì bel giorno,
o prodi miei guerrieri,
a Maometto intorno
venite ad esultar.

Duce di tanti eroi
crollar farò gl'imperi,
e volerò con voi
del mondo a trionfar.

I SOLDATI MUSULMANI
Del mondo al vincitor
eterno plauso e onor!

MAOMETTO
Compiuta ancor del tutto
la vittoria non è. La tua falange,
Acmet, conduci ad assalir la rocca
dall'oriental pendice, ov'è men forte.
Con l'altre schiere intanto
starommi io qui della città nel centro
ad ogni uopo ed evento.

(Acmet parte con alcuni soldati.)

De' fuggenti nemici Omar sull'orme,
per obliqui sentieri,
corse già ratto co' suoi mille arcieri,
ed ampia strage egli faranne al certo.

SELIMO
Signor! Di Negroponte
le vie pur anco a te son note? E come?
Il ciel t'inspira, o qui stranier non sei?

MAOMETTO
La conquista di Grecia, è a te ben noto
che il mio gran padre ei pur rivolse in mente.
Quindi in mentite spoglie
ad esplorarne i lidi
i più scaltri inviò fra' suoi più fidi;
e me fra quelli, ed Argo e Negroponte
e… Corinto percorsi… ah!

SELIMO
Tu sospiri!

MAOMETTO
Sospiro io, sì, nel rammentar Corinto.

SELIMO
Forse…

MAOMETTO
Non più. Ma quel tumulto è questo?

(Alcuni Guerrieri ritornano in fretta dalla sinistra dello spettatore, e cantano il seguente:)

I SOLDATI MUSULMANI
Signor, di liete nuove
nunzi noi siamo a te.
I nemici fuggenti,
sorpresi, ed avviliti
caddero in parte estinti;
e in duri ceppi avvinti
or sieno a te guidati
i duci invan frementi.
Il prode Omar già muove
ad incontrarti il piè.

MAOMETTO
Oh gioia! Alfin vi tengo
veneti alteri, audaci e sempre infidi
vi tengo alfin. Compiuto è il mio trionfo.
Come in Bisanzio, il mio destrier qui ancora
nuotar nel sangue cristiano io vidi.
Or colle fronti nella polve immerse
vedrò pur voi, duci orgogliosi… e vinti.
Ciò sia più grato che il mirarvi estinti.

I SOLDATI MUSULMANI
Il prode Omar già muove
ad incontrarti il piè.

Scena Quinta

(Omar seguìto da' suoi soldati, conduce incatenati Calbo ed Erisso, i quali si presentano con dignitoso contegno)

MAOMETTO
(Con ironia)
Appressatevi, o prodi.
Ammirarvi d'appresso alfin m'è dato.
Del veneto valor la fama antica
per voi s'accrebbe, e a queste mura intorno
ne fan tacita fede
de' miei guerrier ben dieci mille uccisi.
Compiuto è il dover vostro, il mio comincia.
Un esempio tremendo in voi dar voglio
a chi, senza sperar soccorso o scampo,
ogni patto ricusa
per sol diletto di versar del sangue.
Atroce, inaudito
supplizio sia mercé del vostro ardire.

ERISSO
Quest'ultimo tuo detto
m'accerta alfin che parla Maometto.
Or la risposta ascolterai d'Erisso.

MAOMETTO
Erisso!

(fra sè)

Oh ciel!

(ad Erisso)

Sei forse tu l'istesso che già duce in Corinto?

ERISSO
Io son quel desso.
Ed in Corinto e in Negroponte, e ovunque
il tuo furor ti tragga, infin ch'io viva,
mi scorgerai tu sempre
starti intrepido a fronte
colla morte sul brando;
e se convien che pera,
fra i più fieri tormenti,
intrepido del pari
a' Veneti pur sempre
porger di fede e di fortezza esempio.

MAOMETTO
Sta ben. Ma dimmi, Erisso…
Non sei padre?

ERISSO
(fra sè)
Che ascolto!

(A Maometto)

E come, e donde il sai?

MAOMETTO
Te 'l chieggo.

ERISSO
Cittadin son io,
sol cittadino in questo istante.

(sottovoce)

Ahi, Calbo!
Mi ricorda il suo dir l'amata figlia.
Costanza, o cor.

MAOMETTO
Benché nemico, Erisso,
d'assai miglior destino
degno tu sei; lo veggo ed io te l'offro.
Un accento e sei salvo, e teco il prode,
che stringi or fra le braccia. Odi e risolvi.
Riedi appiè della rocca.
Parla a' guerrieri, che son chiusi in quella:
la stoltezza e il periglio
d'inutile difesa ad essi esponi,
e che mi schiudan quelle porte imponi.
Tutti sien salvi, il giuro. E se a te piace
la patria riveder potrai con essi,
e rieder lieto a' filiali amplessi.

ERISSO
(fra sè)
Giusto ciel, che strazio è questo!
Nel propormi un tradimento
sempre i figli a me rammenta.
trafiggendomi nel cor.

(A Calbo)

Ah! in momento sì funesto,
Calbo, or, deh, per me rispondi,
ed a lui quel pianto ascondi
che or tradisce il genitor.

CALBO
Alla rocca andrem, se il vuoi.
Parlerem con quegli eroi,
ma direm che presso a morte
noi serbiam pur l'alma forte.
La risposta, intendi, è questa.
Se or ti piace, il rogo appresta
ed appaga il tuo furor.

ERISSO
(fra sè)
Dolce figlia, ove t'aggiri?
Ah, chi sa se ancor respiri,
se abbracciarti io posso ancor!

MAOMETTO
Sconsigliato, a che non taci?
Frena, o stolto, i detti audaci.
Con chi parli non rammenti,
e il mio sdegno non paventi?
Tu rispondi, Erisso, e trema,
questa fu la volta estrema
che parlommi al cor pietà.

ERISSO
Già tacendo a te risposi
co' suoi detti generosi.

CALBO, ERISSO
È lo stesso in ogni core
il consiglio dell'onore;
e non v'ha che un sol linguaggio
per il forte e per il saggio,
e tal sempre il mio sarà.

MAOMETTO
(fra sè)
Io mi sento dal dispetto
lacerato il cor nel petto.
De' supplizi al fiero aspetto
forse un tanto ardir cadrà.

(Ad Erisso)

Decidesti?

ERISSO
Io già risolsi.

MAOMETTO
Tu m'insulti, indegno, e l'osi?

ERISSO
E non v'ha che un sol linguaggio
per il forte e per il saggio;
e tal sempre il mio sarà.

CALBO
È lo stesso in ogni core
il consiglio dell'onore;
e tal sempre il mio sarà.

MAOMETTO
(fra sè)
De' supplizi al fero aspetto
forse un tanto ardir cadrà.

(in alta voce)

Guardie, olà, costor si traggano
a supplizio infame, atroce.
Obbedite…

Scena Sesta

(Le Guardie circondano Erisso e Calbo e li trassinano. Anna si precipita dal tempio, su' passi loro, dando un grido di dolore. Le altre donne la sieguono)

ANNA
Ah, no!

MAOMETTO
Qual voce!

ANNA
Padre mio!

ERISSO
Figlia!

MAOMETTO
Che veggio!

ANNA
(Accorrendo verso Maometto.)
Al tuo piede… oh ciel, vaneggio!

MAOMETTO
Anna!

ANNA
Uberto! oh rossor!

ERISSO
Che colpo è questo!

(Tutti rimangono attoniti e muti nell'atteggiamento della sorpresa, della vergogna o del dolore, secondo la circostanza di ciascuno.)

ANNA
(fra sè)
Ritrovo l'amante
nel crudo nemico.
Qual barbaro istante!
Che penso? che dico?
Oh morte, te imploro
rimedio, ristoro
a tanto dolor.

ERISSO
(fra sè)
Amante la figlia
del crudo tiranno!
Deh! chi mi consiglia!
Qual barbaro affanno!
Oh morte, te imploro
rimedio, ristoro
a tanto dolor!

MAOMETTO
(fra sè)
Risento nel petto
all'alma sembianza
d'un tenero affetto
l'antica possanza.
Qual magico incanto
quel ciglio, quel pianto,
quel muto dolor!

CALBO, LE DONNE
(fra sè)
Il padre fra l'ira
ondeggia e l'affanno,
la figlia delira
pel barbaro inganno.
Oh cielo, te imploro
tu porgi ristoro
a tanto dolor.

SELIMO
(fra sè)
Quel ciglio, quel pianto
e muto dolor,
qual magico incanto
ha sul vincitor!

I SOLDATI MUSULMANI
(fra sè)
Il duce all'aspetto
d'inerme beltà,
risente nel petto
la spenta pietà!
Qual magico incanto,
quel ciglio, quel pianto
ha sul vincitor!

ANNA
(A Maometto)
Rendimi il padre, o barbaro.
Il mio… fratel, deh rendimi…
o ch'io saprò trafiggermi
con questo ferro il cor.

(Cavando fuori il pugnale.)

CALBO
(fra sè)
Fratel mi chiama! oh tenera!
Oh dolce amica!

ANNA
(A Maometto)
E tacito ancor tu resti?

(Fa cenno di uccidersi.)

MAOMETTO
Arrestati, arrestati,
dilegua il tuo timor.

(Scioglie egli stesso le catene d'Erisso e di Calbo.)

Padre e fratel ti rendo.
Comprendi a sì bel dono
che un barbaro non sono,
ma fido amante ognor.

ERISSO
Quei ceppi a me rendete,
la morte io solo attendo.
Pietosi mi togliete
a tanto mio rossor.

ANNA
Padre…

ERISSO
Da me t'invola.

ANNA
M'ascolta…

CALBO
(Ad Erisso)
Ti consola.
Misera ella è, non rea.

ANNA
Chi preveder potea
inganno sì crudel!

MAOMETTO
(Ad Anna)
Fra l'armi in campo io torno,
cara, ma al mio ritorno
altera e lieta omai,
al fianco mio vivrai,
se ancor mi sei fedel.

ANNA
(fra sè)
Dal rimorso, dal duol, dal tormento
lacerato mi sento già il cor.
Ah! perché fra le spade nemiche
a perir disperata non corsi!
Or da quanti tormenti e rimorsi
straziata quest'alma sarà.

ERISSO, CALBO
(fra sè)
Ah perché fra le spade nemiche
non mi trassi a perir disperato;
trionfando del barbaro fato,
involandomi a tanta viltà.

MAOMETTO
(fra sè)
Agitata, confusa, tremante,
non risponde. Qual dubbio! qual lampo!
Forse infida… Di sdegno già avvampo.
Ma svelato l'arcano sarà.

LE DONNE
(fra sè)
Agitata, confusa, tremante
non risponde. Mirarlo non osa.
Fra l'amante ed il padre dubbiosa
fra l'inferno ed il cielo si sta.

I SOLDATI MUSULMANI
(fra sè)
Agitata, confusa, tremante
non risponde. Mirarlo non osa.
Fra l'amante ed il padre dubbiosa
all'evento improvviso si sta.
ATTO PRIMO


Scena Prima

(Sala nel palazzo. Il provveditore Paolo Erisso siede taciturno presso una tavola. Altri capitani gli siedono intorno. Calbo e Condulmiero chiudono il circolo, sedendo l'uno incontro all'altro)

I DUCI
Al tuo cenno, Erisso, accolti
qui già vedi i tuoi guerrieri.
Ma… tu taci, e non ascolti?..

(fra sè)

Mille torbidi pensieri
gli vegg'io scolpiti in fronte.
Giusto ciel! di Negroponte
il destin qual mai sarà?

ERISSO
Volgon due lune or già, veneti eroi,
che di Bisanzio il vincitor superbo
d'oste infinita e fera
queste mura circonda.
Noi noverar co' giorni
i cimenti e i trionfi ancor possiamo.
Ma… l'avvenir qual sia?
Spento de' nostri il più bel fior già cadde;
crollan le mura col tempestar de' bronzi;
il morbo struggitor, la dura fame
mietono a gara il popolo innocente;
e Maometto minaccia incendio e morte,
se schiuse al novo dì non sian le porte.
Io veggo in sì rio stato, veggio egual periglio
se all'onor chieggo o alla pietà consiglio.
Risolversi che deggia
ognun libero esponga, ed il pensiero
del numero maggior per me sia legge.

I DUCI
Risponda a te primiero
il prode Condulmiero,
che pari ha nel periglio
il braccio ed il consiglio.

CONDULMIERO
Quando ogni speme è tolta,
allor l'audacia è stolta,
ed il men reo consiglio
sta nel minor periglio.
Il folle e non il forte
va cieco incontro a morte.
Cedasi in tal momento.
A più feral cimento
serbiam le spade e il sangue:
io primo allor esangue,
io primo allor cadrò…

CALBO
(Sorgendo)
Guerriero, che parli?
Estremo consiglio
del forte è la spada.
Non temo il periglio:
si pugni, si cada
nell'arduo cimento;
e covran mia fosse
de' barbari a cento
le ceneri e l'ossa.
Impari il superbo
che duro, che acerbo
è il vincer pugnando
contro italo brando.
Al nobile esempio,
all'orrido scempio
si accresca con l'ire
il veneto ardire;
e a tanta costanza,
depressa, avvilita
del barbaro scita
sia l'empia baldanza.

ERISSO
A tanta costanza,
ai forti suoi detti
ribolle ne' petti
l'antica baldanza.

CALBO
Si pugni, si cada,
ruotando la spada
nell'arduo cimento.
Poi covran mia fossa
de' barbari a cento
le ceneri e l'ossa.

I DUCI
A tanta costanza,
ai forti suoi detti
ribolle ne' petti
l'antica baldanza.

CALBO, ERISSO, CONDULMIERO
Si pugni, si cada,
ruotando la spada
nell'arduo cimento.
Poi covran mia fossa
de' barbari a cento
le ceneri e l'ossa.

ERISSO
Basta, non più.
V'intesi, o prodi, o veri
cittadini e guerrieri.
Udir da' labbri vostri il generoso
consiglio io sol bramava, e tanto ottenni.
Dunque giuriam sui brandi
per la patria, per l'are
pugnar fin che di sangue
stilla ci avanza in petto;
ché nel bivio crudel d'infamia o morte,
dubbio non è qual via trasceglie il forte.

(Snuda la spada e la presenta ai duci, che lo imitano e giurano, toccando colle loro spade quella di Erisso.)

TUTTI
Sì, giuriam sugl'itali brandi,
degl'infidi nel sangue già tinti,
che trafitti, non supplici o vinti,
Maometto al suo piè ci vedrà.
Sì, giuriamo su' veneti brandi.
Se non cangia la sorte severa,
Negroponte alla veneta schiera
monumento e sepolcro sarà.

ERISSO
Or partite, guerrieri. Al dì novello
l'ultimo assalto il Musulman minaccia;
nuovo vigor quindi a voi porga il sonno.
Allo spuntar del giorno
pugnerete da forti a me d'intorno.
E al numero il valor se sia che ceda,
e abbandonar l'ampia città si debba,
ratto allor nella rocca
a novello cimento
ritraggasi chi ancor non fu qui spento.

(Tutti partono, fuorché Calbo trattenuto da Erisso.)

Calbo, tu m'odi. Il mio dover compiuto
di duce e cittadin, dover diverso
né men sacro or si compia.
Ahimè!.. son padre di tenera,
leggiadra unica figlia.
Appien tu la conosci,
e al par di me tu l'ami.
Or pensa il suo periglio
come tremar, come agghiacciar mi faccia.

CALBO
Com'io pur tremo e agghiaccio.

ERISSO
Seguimi or dunque.

CALBO
E che far vuoi?

ERISSO
Mi segui.
Presso alla figlia mia
del padre il voto ascolterai qual sia.

Scena Seconda

(Gabinetto di Anna Erisso; una lampada lo rischiara)

ANNA
Ah! che invan sul mesto ciglio
chiamo il dolce oblio de' mali.
Non ho pace al rio periglio
in cui veggo il genitor.
E il timor se tace appena,
son d'amor gli occulti strali
onde ognor di pena in pena
palpitante ondeggia il cor.
Pietoso ciel!

ERISSO
Figlia…

ANNA
Che vegg'io! Padre,
qual grave cura a me nell'alta notte
sollecito ti guida?

ERISSO
Il tuo periglio.

ANNA
Il mio periglio! ahimè!

ERISSO
M'abbraccia, e ascolta.
Or che ad estremo disperato assalto
il nemico s'appresta, io pe' tuoi giorni,
Anna, pavento. Io sol finora, io fui
di tua virtù, dell'innocenza tua
il consiglio e lo scudo.
Or più non basto io solo, or che un istante,
un trar di spada può troncar mia vita.

ANNA
Misera me! Che dici?

ERISSO
Addoppiar le difese a te d'intorno
amor mi suggerisce, e un altro braccio
a tuo schermo apprestar, che compier possa
teco mie veci, ov'io cadessi.

ANNA
Ahi, padre!

ERISSO
Il tuo secondo difensor sia Calbo.
Egli, gran tempo è già, t'ama, e no'l disse
che al padre tuo. Sposa ti chiede.

ANNA
(fra sè)
Lassa!

ERISSO
E più degno consorte aver giammai,
no, non potresti, o figlia. Or vieni al tempio.
Là dove il sacro cenere riposa
della spenta tua madre,
stringer mi lascia un sì bel nodo, o cara,
e il mio timor sia spento appiè dell'ara.

CALBO
(fra sè)
Che sento!

ANNA
(fra sè)
Io son perduta.

ERISSO
A che t'arresti?

CALBO
Anna, tu taci? Alto stupor ti leggo
in volto espresso. Il tuo bel cor dischiudi
al padre ad all'amico; e se pur sia
che tal nodo tu abborri, il tuo pensiero
libera esponi, e me primiero udrai
a tua difesa ragionar.

ERISSO
Che vegg'io!
Figlia, tu piangi? Oh, qual crudel sospetto
in me tu desti!

ANNA
No, tacer non deggio
più il vero omai. Tradirvi
non posso entrambi, nè immolar me stessa.
Già d'altra fiamma accesa.

ERISSO
Oh, mio rossor! Prosegui.

ANNA
Indegno, credi,
non è d'Erisso l'amator mio primo.

ERISSO
Chi è costui? Favella.

ANNA
Il Sir di Mitilene, il prode Uberto.

ERISSO
Uberto! E quando il conoscesti?

ANNA
Allora
che tu in Venezia, per due lune e due,
ed oro ed armi a dimandar restavi,
me lasciando in Corinto.

ERISSO
Allor? Che ascolto!

CALBO
Prosegui… ahimè!..

ERISSO
Meco in Venezia Uberto
venia sul legno istesso; e vi rimase
quando a te fei ritorno.

ANNA
Misera! il ver tu dici?
Chi dunque, ahi! meco il nome
volle mentir d'Uberto?

ERISSO
Chi sia non so; ma un mentitor fu certo.

ANNA, CALBO, ERISSO
(fra sè)
Ohimè! qual fulmine
per me fu questo!
Ahi, qual terribile
colpo funesto!

ANNA
(fra sè)
Conquisa l'anima
dal vile inganno,
prorompe in lagrime
l'interno affanno;
e il guardo, ahi, misera
nel mio rossore
non sò più volgere
al genitor.

ERISSO
(fra sè)
Conquisa l'anima
dal vile inganno,
il cor mi squarciano
ira ed affanno.
Ma pur la misera
col suo dolor
raffrena gl'impeti
del mio furor.

CALBO
(fra sè)
Conquisa l'anima
dal vil inganno,
il cor mi squarciano
ira ed affanno.
Non sa la misera
nel suo rossor
più il guardo volgere
al genitor.

ERISSO
Dal cor l'iniquo affetto
sveller t'è forza, o figlia:
tanto l'onor consiglia.

ANNA
Figlia mi chiami ancor?
Sì, svellermi dal petto
il cor saprò se…

(Un lontano colpo di cannone interrompe il colloquio. Tutti restano immobili e sorpresi. Breve silenzio. Un grido di allarme si sente poco dopo. Erisso e Calbo pongono mano alle spade e partono precipitosamente senza far motto. Anna li siegue per pochi passi, indi ritorna indietro agitatissima.)

ANNA
Che avvenne? Oh Dio!
Lo strepito della battaglia ascoltasi.
Ahi, forse un tradimento
nel notturno cimento…
Io gelo. Oh, duol! Nel tempio
del ciel si voli ad implorar l'aita
che salvi almen del padre mio la vita.

(Parte precipitosamente.)

Scena Terza

(La piazza della città di Negroponte. A dritta dello spettatore un tempio: in fondo una larga via, che sarà disposta obliquamente in guisa che il principio della medesima si nasconde all'occhio dello spettatore sulla sua sinistra. La musica da questo momento, finché non giunge Erisso sulla scena, deve sempre indicare il lontano tumulto della battaglia. Di tratto in tratto si odono de' colpi di cannone e delle scariche di moschetti. Alcune Donne accorrono allo strepito, incerte ed atterrite, aggirandosi per la scena)

LE DONNE
Misere!.. or dove, ahimè!
volger l'incerto piè?
Dell'armi il rimbombar,
de' bronzi il fulminar,
tutto tremar ci fa.
Che mai… che mai sarà?

ANNA
(Accorrendo anch'essa tremante e sbigottita.)
Donne, che sì piangete,
che avvenne? Deh, rispondete.

LE DONNE
Al musulman le porte
dischiuse un traditor.
Tutto già intorno è orror,
incendio e morte.

ANNA
(Sempre più spaventata, corre ad inginocchiarsi avanti il tempio.)
Giusto ciel, in tal periglio
più consiglio
più speranza,
non avanza,
che piangendo,
che gemendo,
implorar la tua pietà.

LE DONNE
(Inginocchiandosi pur esse.)
Giusto ciel, in tal periglio
più speranza
non avanza
che implorar la tua pietà.

(Sul finir di questa breve preghiera si sente un tamburo, che si accosta. Incomincia a sfilare una parte della guarnigione, attraversando la scena sollecitamente da dritta a manca. Anna ed il coro, vedendo i soldati, sospendono la loro preghiera, ed accorrono verso di quelli. Erisso e Calbo sopraggiungono con le spade ignude.)

ANNA
Ahi, padre!

ERISSO
(fra sè)
Oh vista!

ANNA
Ad abbracciarti io torno.
Narra.

ERISSO
Fuorchè l'onor, tutto è perduto.
Ogni speranza un traditor invola.
Sulle mura è il nemico, e grazie al cielo
or' io sol porgo, che d'occulti inganni
temendo Maometto, il corso arresta
di sua vittoria e attender vuole il giorno.
Or, miei fidi, alla rocca.

ANNA
Oh, padre mio, fermati… ascolta.

ERISSO
Udir non posso. Addio.

Figlia, mi lascia. Io volo
ove il dover m'invita.
Dal pianto tuo tradita
la patria non sarà.

ANNA
Padre!
E in tal periglio e duolo
lasciar tu puoi la figlia?
Qual nume a te consiglia
cotanta crudeltà?
Teco venir…

ERISSO
T'arresta, seguir non dei tu il padre.

ANNA
Qual dura legge è questa!

ERISSO
Sol le raccolte squadre
sull'alta rocca andranno
a far le prove estreme
d'intrepido valor.

ANNA, LE DONNE
E noi qui fuor di speme,
dover tiran ci lascia
dell'onta al nuovo orror?

CALBO
Mira, signor, quel pianto,
e cangia il tuo consiglio.
Le invola a tal periglio:
parli al tuo cor pietà.

ANNA
Vedrai su quelle mura
pur noi pugnar da forti,
vibrar pur noi le morti;
far siepe i nostri petti
a' tuoi guerrieri eletti,
e in essi il nostro esempio
valore accrescerà.
Padre, ti muova il pianto
a men crudel consiglio.
M'invola al rio periglio,
parli al tuo cor pietà.

ERISSO
Le voci di natura
tutte nel cor già sento;
ma in sì crudel momento
delitto è la pietà.
Ma indarno or voi piangete,
donne, al destin cedete.
Se i voti vostri ascolta
la cieca mia pietà,
con voi la fame accolta
da' miei guerrier sarà.
Pietà sì dura e stolta
chi a me consiglierà?
Partiam, guerrieri… Addio

LE DONNE
Mira, signor, quel pianto
e cangia il tuo consiglio.
C'invola a tal periglio,
parli al tuo cor pietà.

ERISSO
Invola al rio periglio,
parli al tuo cor pietà.

ANNA
Ahi padre! ah padre mio;
de' barbari all'oltraggio
così lasciarmi?

ERISSO
O cara,
prendi il pugnal. Retaggio
paterno a te sia questo
in giorno sì funesto.
Va', corri appiè dell'ara,
e pria che in te la mano
distenda il musulmano…
Figlia…

ANNA
Prosegui…

ERISSO
Addio.

ANNA
Dicesti assai. T'intendo.
Vedrai che appien somiglia
al genitor la figlia,
e pria che in me la mano
distenda il musulmano,
questo pugnal da forte
nel cor m'immergerò.

ERISSO
(fra sè)
In sì crudel tormento
squarciarmi a brano a brano,
misero, il cor mi sento.
O patria, a te qual figlia
vittima immolerò!

ANNA
(fra sè)
A sì crudel tormento
squarciarmi a brano a brano,
Ah Dio! il cor mi sento.
Ahi, qual perversa sorte
Il ciel mi destinò!

CALBO
(fra sè)
In sì crudel momento
squarciarmi a brano a brano
in petto il cor mi sento.
Misero, ahi, qual consorte
il fato m'involò!

LE DONNE
(fra sè)
A sì funesta scena
attonita, gemente,
fra meraviglia e pena
mancarmi il cor mi sento.
Ahi, per qual empia sorte,
dal figlio, dal consorte
dividermi dovrò!

(La musica ed il canto cesseranno ad un tratto. Erisso ed Anna si abbracciano teneramente. Calbo cade appiè di Anna, che gli porge la mano. Intanto alcune delle donne del coro corrono ad abbracciare taluni fra' soldati, in attitudine di madri o di spose. Ricominciando la musica tutti si separeranno, dandosi a vicenda l'ultimo doloroso addio. Erisso e Calbo partono per la rocca. Anna, seguita dalle altre donne, si ritira nel tempio)

Scena Quarta

(Giorno. Una schiera di cavalieri musulmani sopraggiunge entrando dalla dritta dello spettatore; si arresta alquanto per riconoscere qual via debba trascegliere per inseguire i fuggaschi. Indi al segnale del comandante si avvierà per la via grande che mette capo in fondo del teatro. Incominciasi ad ascoltare da lontano il suono delle bande turche. Dopo un istante la schiera di cavalleria ritornerà, girando a sinistra dello spettatore, sulle tracce di Erisso. Sopraggiunge buon numero di soldati turchi, alla rinfusa ed armati di faci)

I SOLDATI MUSULMANI
Dal ferro, dal foco
nel sangue sommersa
l'avversa città
al mondo suo scempio
esempio sarà.
Che all'urto invincibile
del nostro valor
periglio è resistere
con cieco furor.

(Verso la fine del coro sopraggiunge Maometto alla testa delle sue truppe, e circondato da tutta la pompa militare ed asiatica. Alcuni de' suoi soldati fanno sembiante di volere appiccare il fuoco agli edifizi ed al tempio. Maometto con un cenno gli arresta. Egli pone piede a terra, seguito dal suo visir Selimo e dagli altri generali. Tutti si prostrano, attendendo i suo ordini)

MAOMETTO
Sorgete, in sì bel giorno,
o prodi miei guerrieri,
a Maometto intorno
venite ad esultar.

Duce di tanti eroi
crollar farò gl'imperi,
e volerò con voi
del mondo a trionfar.

I SOLDATI MUSULMANI
Del mondo al vincitor
eterno plauso e onor!

MAOMETTO
Compiuta ancor del tutto
la vittoria non è. La tua falange,
Acmet, conduci ad assalir la rocca
dall'oriental pendice, ov'è men forte.
Con l'altre schiere intanto
starommi io qui della città nel centro
ad ogni uopo ed evento.

(Acmet parte con alcuni soldati.)

De' fuggenti nemici Omar sull'orme,
per obliqui sentieri,
corse già ratto co' suoi mille arcieri,
ed ampia strage egli faranne al certo.

SELIMO
Signor! Di Negroponte
le vie pur anco a te son note? E come?
Il ciel t'inspira, o qui stranier non sei?

MAOMETTO
La conquista di Grecia, è a te ben noto
che il mio gran padre ei pur rivolse in mente.
Quindi in mentite spoglie
ad esplorarne i lidi
i più scaltri inviò fra' suoi più fidi;
e me fra quelli, ed Argo e Negroponte
e… Corinto percorsi… ah!

SELIMO
Tu sospiri!

MAOMETTO
Sospiro io, sì, nel rammentar Corinto.

SELIMO
Forse…

MAOMETTO
Non più. Ma quel tumulto è questo?

(Alcuni Guerrieri ritornano in fretta dalla sinistra dello spettatore, e cantano il seguente:)

I SOLDATI MUSULMANI
Signor, di liete nuove
nunzi noi siamo a te.
I nemici fuggenti,
sorpresi, ed avviliti
caddero in parte estinti;
e in duri ceppi avvinti
or sieno a te guidati
i duci invan frementi.
Il prode Omar già muove
ad incontrarti il piè.

MAOMETTO
Oh gioia! Alfin vi tengo
veneti alteri, audaci e sempre infidi
vi tengo alfin. Compiuto è il mio trionfo.
Come in Bisanzio, il mio destrier qui ancora
nuotar nel sangue cristiano io vidi.
Or colle fronti nella polve immerse
vedrò pur voi, duci orgogliosi… e vinti.
Ciò sia più grato che il mirarvi estinti.

I SOLDATI MUSULMANI
Il prode Omar già muove
ad incontrarti il piè.

Scena Quinta

(Omar seguìto da' suoi soldati, conduce incatenati Calbo ed Erisso, i quali si presentano con dignitoso contegno)

MAOMETTO
(Con ironia)
Appressatevi, o prodi.
Ammirarvi d'appresso alfin m'è dato.
Del veneto valor la fama antica
per voi s'accrebbe, e a queste mura intorno
ne fan tacita fede
de' miei guerrier ben dieci mille uccisi.
Compiuto è il dover vostro, il mio comincia.
Un esempio tremendo in voi dar voglio
a chi, senza sperar soccorso o scampo,
ogni patto ricusa
per sol diletto di versar del sangue.
Atroce, inaudito
supplizio sia mercé del vostro ardire.

ERISSO
Quest'ultimo tuo detto
m'accerta alfin che parla Maometto.
Or la risposta ascolterai d'Erisso.

MAOMETTO
Erisso!

(fra sè)

Oh ciel!

(ad Erisso)

Sei forse tu l'istesso che già duce in Corinto?

ERISSO
Io son quel desso.
Ed in Corinto e in Negroponte, e ovunque
il tuo furor ti tragga, infin ch'io viva,
mi scorgerai tu sempre
starti intrepido a fronte
colla morte sul brando;
e se convien che pera,
fra i più fieri tormenti,
intrepido del pari
a' Veneti pur sempre
porger di fede e di fortezza esempio.

MAOMETTO
Sta ben. Ma dimmi, Erisso…
Non sei padre?

ERISSO
(fra sè)
Che ascolto!

(A Maometto)

E come, e donde il sai?

MAOMETTO
Te 'l chieggo.

ERISSO
Cittadin son io,
sol cittadino in questo istante.

(sottovoce)

Ahi, Calbo!
Mi ricorda il suo dir l'amata figlia.
Costanza, o cor.

MAOMETTO
Benché nemico, Erisso,
d'assai miglior destino
degno tu sei; lo veggo ed io te l'offro.
Un accento e sei salvo, e teco il prode,
che stringi or fra le braccia. Odi e risolvi.
Riedi appiè della rocca.
Parla a' guerrieri, che son chiusi in quella:
la stoltezza e il periglio
d'inutile difesa ad essi esponi,
e che mi schiudan quelle porte imponi.
Tutti sien salvi, il giuro. E se a te piace
la patria riveder potrai con essi,
e rieder lieto a' filiali amplessi.

ERISSO
(fra sè)
Giusto ciel, che strazio è questo!
Nel propormi un tradimento
sempre i figli a me rammenta.
trafiggendomi nel cor.

(A Calbo)

Ah! in momento sì funesto,
Calbo, or, deh, per me rispondi,
ed a lui quel pianto ascondi
che or tradisce il genitor.

CALBO
Alla rocca andrem, se il vuoi.
Parlerem con quegli eroi,
ma direm che presso a morte
noi serbiam pur l'alma forte.
La risposta, intendi, è questa.
Se or ti piace, il rogo appresta
ed appaga il tuo furor.

ERISSO
(fra sè)
Dolce figlia, ove t'aggiri?
Ah, chi sa se ancor respiri,
se abbracciarti io posso ancor!

MAOMETTO
Sconsigliato, a che non taci?
Frena, o stolto, i detti audaci.
Con chi parli non rammenti,
e il mio sdegno non paventi?
Tu rispondi, Erisso, e trema,
questa fu la volta estrema
che parlommi al cor pietà.

ERISSO
Già tacendo a te risposi
co' suoi detti generosi.

CALBO, ERISSO
È lo stesso in ogni core
il consiglio dell'onore;
e non v'ha che un sol linguaggio
per il forte e per il saggio,
e tal sempre il mio sarà.

MAOMETTO
(fra sè)
Io mi sento dal dispetto
lacerato il cor nel petto.
De' supplizi al fiero aspetto
forse un tanto ardir cadrà.

(Ad Erisso)

Decidesti?

ERISSO
Io già risolsi.

MAOMETTO
Tu m'insulti, indegno, e l'osi?

ERISSO
E non v'ha che un sol linguaggio
per il forte e per il saggio;
e tal sempre il mio sarà.

CALBO
È lo stesso in ogni core
il consiglio dell'onore;
e tal sempre il mio sarà.

MAOMETTO
(fra sè)
De' supplizi al fero aspetto
forse un tanto ardir cadrà.

(in alta voce)

Guardie, olà, costor si traggano
a supplizio infame, atroce.
Obbedite…

Scena Sesta

(Le Guardie circondano Erisso e Calbo e li trassinano. Anna si precipita dal tempio, su' passi loro, dando un grido di dolore. Le altre donne la sieguono)

ANNA
Ah, no!

MAOMETTO
Qual voce!

ANNA
Padre mio!

ERISSO
Figlia!

MAOMETTO
Che veggio!

ANNA
(Accorrendo verso Maometto.)
Al tuo piede… oh ciel, vaneggio!

MAOMETTO
Anna!

ANNA
Uberto! oh rossor!

ERISSO
Che colpo è questo!

(Tutti rimangono attoniti e muti nell'atteggiamento della sorpresa, della vergogna o del dolore, secondo la circostanza di ciascuno.)

ANNA
(fra sè)
Ritrovo l'amante
nel crudo nemico.
Qual barbaro istante!
Che penso? che dico?
Oh morte, te imploro
rimedio, ristoro
a tanto dolor.

ERISSO
(fra sè)
Amante la figlia
del crudo tiranno!
Deh! chi mi consiglia!
Qual barbaro affanno!
Oh morte, te imploro
rimedio, ristoro
a tanto dolor!

MAOMETTO
(fra sè)
Risento nel petto
all'alma sembianza
d'un tenero affetto
l'antica possanza.
Qual magico incanto
quel ciglio, quel pianto,
quel muto dolor!

CALBO, LE DONNE
(fra sè)
Il padre fra l'ira
ondeggia e l'affanno,
la figlia delira
pel barbaro inganno.
Oh cielo, te imploro
tu porgi ristoro
a tanto dolor.

SELIMO
(fra sè)
Quel ciglio, quel pianto
e muto dolor,
qual magico incanto
ha sul vincitor!

I SOLDATI MUSULMANI
(fra sè)
Il duce all'aspetto
d'inerme beltà,
risente nel petto
la spenta pietà!
Qual magico incanto,
quel ciglio, quel pianto
ha sul vincitor!

ANNA
(A Maometto)
Rendimi il padre, o barbaro.
Il mio… fratel, deh rendimi…
o ch'io saprò trafiggermi
con questo ferro il cor.

(Cavando fuori il pugnale.)

CALBO
(fra sè)
Fratel mi chiama! oh tenera!
Oh dolce amica!

ANNA
(A Maometto)
E tacito ancor tu resti?

(Fa cenno di uccidersi.)

MAOMETTO
Arrestati, arrestati,
dilegua il tuo timor.

(Scioglie egli stesso le catene d'Erisso e di Calbo.)

Padre e fratel ti rendo.
Comprendi a sì bel dono
che un barbaro non sono,
ma fido amante ognor.

ERISSO
Quei ceppi a me rendete,
la morte io solo attendo.
Pietosi mi togliete
a tanto mio rossor.

ANNA
Padre…

ERISSO
Da me t'invola.

ANNA
M'ascolta…

CALBO
(Ad Erisso)
Ti consola.
Misera ella è, non rea.

ANNA
Chi preveder potea
inganno sì crudel!

MAOMETTO
(Ad Anna)
Fra l'armi in campo io torno,
cara, ma al mio ritorno
altera e lieta omai,
al fianco mio vivrai,
se ancor mi sei fedel.

ANNA
(fra sè)
Dal rimorso, dal duol, dal tormento
lacerato mi sento già il cor.
Ah! perché fra le spade nemiche
a perir disperata non corsi!
Or da quanti tormenti e rimorsi
straziata quest'alma sarà.

ERISSO, CALBO
(fra sè)
Ah perché fra le spade nemiche
non mi trassi a perir disperato;
trionfando del barbaro fato,
involandomi a tanta viltà.

MAOMETTO
(fra sè)
Agitata, confusa, tremante,
non risponde. Qual dubbio! qual lampo!
Forse infida… Di sdegno già avvampo.
Ma svelato l'arcano sarà.

LE DONNE
(fra sè)
Agitata, confusa, tremante
non risponde. Mirarlo non osa.
Fra l'amante ed il padre dubbiosa
fra l'inferno ed il cielo si sta.

I SOLDATI MUSULMANI
(fra sè)
Agitata, confusa, tremante
non risponde. Mirarlo non osa.
Fra l'amante ed il padre dubbiosa
all'evento improvviso si sta.
最終更新:2017年01月04日 12:09