ATTO SECONDO


(Ricchissimo padiglione di Maometto nel quale si veggono riuniti tutti gli oggetti del lusso orientale)

Scena Prima

(Anna è seduta su di un divano, nel massimo dolore e coprendosi con le mani il volto. Una schiera di donzelle musulmane magnificamente abbigliate la circondano, divise in vari gruppi. Alcune sono inginocchiate dinanzi a lei, offrendole ricchi doni di ogni sorta, altre più indietro sostengono de' vasi di profumi, altre finalmente canteranno il seguente coro)

LE DONZELLE MUSULMANE
È follia sul fior degli anni
chiuder l'alma a' molli affetti,
e penar fra' tanti affanni
d'una rigida virtù.
Finché april arride in viso
sol d'amor sien caldi i petti,
chè l'amar fra gioia e riso
è una dolce servitù.
Quando poi sia bianco il crine
cangerem, cangiando aspetto:
posto il cielo ha quel confine
fra 'l diletto e la virtù.

ANNA
(Sorgendo sdegnata.)
Tacete. Ahimè!
quai detti iniqui ascolto!

(Aggirandosi sbigottita.)

Anna infelice! ahi dove,
ove gli empi m'han tratta? ove!
Involarmi a forza io vuo'
da questo infame albergo.
Libero il varco, olà…

Scena Seconda

MAOMETTO
(Entrando)
T'arresta, e ascolta…

(Ad un cenno di Maometto si ritirano tutte le donzelle.)

Donna, fra l'armi il mio parlar sia breve.
Uberto amasti: ed or cangiato il vedi
in Maometto, nel crudel nemico
di Venezia e de' tuoi. Fiero contrasto
quindi in te sorge fra discordi affetti.
Nè in ciò ti biasmo, anzi laudarti io voglio.
Or di cangiar consiglio
il tempo è giunto.
Io t'amo ancor: t'offro la destra, e il soglio.
Farti regina,
e insiem felice io voglio.
Sì, d'Italia regina
tu meco sederai, che un tanto acquisto
già nella mente, e non indarno, io volgo.
Germano e genitor teco felici
vivran pur'essi e al fianco mio possenti.
Or tu del tuo, del mio destin decidi.
Pensa però che sei già mia conquista,
e ch'io non trovo ancor
chi a me resista.

ANNA
Oggi il ritrovi alfin quella son'io.
Amava Uberto, un mentitor detesto.
Ricuso il soglio, la tua destra abborro.
Teco felice! Io? Regina teco?
Della patria a danno? Ad onta eterna
del padre e mia? Ma a consacrar tal nodo
quel Nume invocherai, se siam nemici
anco appiè degli altari?

(Alquanto commossa.)

A separarci l'universo insorge.

(Prorompe in pianto.)

MAOMETTO
E Maometto adunque
dell'universo a trionfar già sorge.
Anna, tu piangi? Il pianto
pur non è d'odio un segno,

non di superbo sdegno,
ma di pena, o d'amor.

ANNA
(Con l'accento della disperazione.)
Sì, non t'inganni! Ah, tanto
la pena mia s'addoppia,
che in petto or or mi scoppia
pel fiero strazio il cor.

(Poi, vaneggiando.)

Lieta, innocente, un giorno
del padre accanto io vissi,
ma poi mi venne intorno
forse da cupi abissi,
in lusinghiero aspetto,
un più tenero affetto.
L'accolsi, incauta, al seno
Ahi, contra il voler paterno.
Era feral veleno,
che a me porgea l'inferno.
Solo or morir mi resta…
la mia speranza è questa,
altro sperar non so.

MAOMETTO
(Fra sè, osservandola.)
A vaneggiar la misera
dal suo dolore è spinta.
E da' suoi mesti gemiti
la mia fierezza è vinta.
Quel pianto ignoro io solo
se è duolo o infedeltà.
Non so.

(Ad Anna)

Anna, rispondi almeno:
se Uberto avessi accanto,
lo stringeresti al seno?

ANNA
Per me risponde il pianto.

MAOMETTO
Basta.

ANNA
Che dissi!

MAOMETTO
Assai.
Tu m'ami e mia sarai.

ANNA
Signor, t'inganni.

(fra sè)

Io gelo.

MAOMETTO
Vieni.

(Vuole stringerla fra le braccia.)

ANNA
Ti scosta…

(fra sè)

Oh cielo! Non tanta crudeltà.

(a Maometto)

Gli estremi sensi ascolta
d'un lacerato cor.
Amo, ma pria sepolta
che cedere all'amor.
Trionfan questa volta
il cielo e il genitor.
La voce estrema è questa
d'un lacerato cor.

MAOMETTO
Gli accenti estremi ascolta
d'un disperato amor:
tu non sarai più tolta
del mondo al vincitor;
o pur cadrai tu, o stolta,
vittima al mio furor.
La voce estrema è questa
d'un disperato amor.

(Al finir del duetto la musica indicherà un lontano e crescente tumulto.)

MAOMETTO
Ma qual tumulto ascolto? Olà!
Che avvenne?

(Entrano alcune guardie con Selimo.)

SELIMO
Signor, non liete nuove io reco.

MAOMETTO
Oh rabbia!
Parla; che fu?

SELIMO
Dalla rocca respinto
Acmet si vide, e in fuga vil rivolta
la sua falange. Un veneto drappello
s'inoltra audace, e all'apparir suo primo,
al primo grido, da ben cento ignoti
asili balzan fuori, rotando il ferro
con disperato ardir, gli ascosi avanzi
de' già vinti nemici. E lor compagni
raggiungono veloci, ed alla rocca
si traggon salvi; lungo stuol de' nostri
lasciando sul sentier morti, o mal vivi.
Al triste evento con feroci strida
corre all'armi l'esercito, e si sparge
per le vie furibondo; ed ogni ostello
esplorano col ferro…

ANNA
(fra sè)
Ahi padre!

SELIMO
Indarno si frappongono i duci:
ampia è la strage,
il disordine estremo;
ognun dimanda d'Erisso il sangue,
quasi autor primiero dell'improvviso assalto,
e ingiurie acerbe scaglian pur contra te
per la tua troppa ed incauta pietà…

ANNA
(Prostrandosi a Maometto.)
Signor!

MAOMETTO
T'accheta.

(Snuda furiosamente il ferro.)

Schiudansi quelle tende.

(Il fondo del padiglione si apre, e si scopre la piazza della città, già veduta nel primo atto, ingombra di soldati che si aggirano in disordine con le spade ignude.)

Fermate, indegni.

(Avanzandosi fra' soldati, i quali alla sua voce rimangono immobili e sbigottiti.)

Se desio di sangue
anco in voi ferve, negl'inermi petti
ad appagarlo qual viltà vi tragge?
Dalla rocca fuggiste e qui pugnate?
Il mondo conquistar così sperate?
Alla rocca si torna, ed io primiero
indicarne saprò l'arduo sentiero.
All'armi!

I SOLDATI MUSULMANI
(Di fuori.)
All'armi!

I SOLDATI MUSULMANI
(Di dentro.)
All'armi!

(Si ascolta da diversi luoghi un crescente battere di tamburi che chiama i soldati, i quali si schierano in fretta.)

MAOMETTO
E tu donna, fa cor. Finché m'avanza
di possederti ancor l'alta speranza,
il padre tuo securo
ognor vivrà, lo giuro.

ANNA
Tu parti, ahi lassa! intanto. E mal represso
ancor mi sembra il soldatesco sdegno.
Lasciami almen di securtade un pegno.

MAOMETTO
Bastò finora a Maometto un cenno…
Pur farti paga io voglio.
L'imperial suggello, ecco, t'affido.
Del mio poter con questo ad altri io soglio
commetter parte; e non indarno mai.
Arbitra or tu del genitor sarai
e del fratel pur anco; e obbedienti
guerrieri e duci ad ogni cenno avrai.
D'amor l'ultima prova,
Anna, il vedi, io ti porgo.
Trema però se al rieder mio non cangi
il disperato tuo consiglio… trema…
Non io più allor, ma parlerebbe il brando.

(Entrano nel padiglione i duci musulmani, ed annunciano a Maometto che l'esercito è in ordine.)

I DUCI MUSULMANI
A che più tardi ancor?
Frementi,
impazienti
le schiere or solo attendono
il cenno tuo, signor.

MAOMETTO
All'invito generoso
riconosco i miei guerrieri
che si sdegnan del riposo
e lo chiamano viltà.
Dunque il piè volgiamo al campo
della gloria su' sentieri.
Delle nostre spade il lampo
la vittoria desterà.

Dell'onta l'impronta fugace
nel veneto sangue
impavido, audace, appien laverò!
O esangue sul brando, sfidando
la morte, da forte cadrò.

(Incomincia il suono delle musiche militari e l'esercito s'incammina.)

MAOMETTO
(Al guerriero che tiene lo stendardo.)
L'invitto vessillo
mi porgi, guerrier.
Slanciarmi fra l'armi
io primo saprò.

(L'esercito prosiegue a sfilare fra canti guerrieri e lo strepito delle musiche militari.)

I SOLDATI MUSULMANI
Dell'araba tromba
già intorno rimbomba
lo squillo foriero
di stragi e d'orror.

ANNA
(fra sè)
Qual voce celeste
al cor mi ragiona?
Qual foco m'investe
e a compier mi sprona
bell'opra d'onor?

(Parte sollecitamente.)

Scena Terza

(Ampio sotterraneo del tempio, tutto sparso di sepolcri, fra quali sarà notabile a dritta dello spettatore quello della moglie di Paolo Erisso. Erisso e Calbo. All'alzarsi della tela Erisso e Calbo si scorgeranno sugli ultimi gradini della scala, e s'inoltrano lentamente)

ERISSO
Seguimi, o Calbo. Fra' muti sepolcri
de' barbari al furor per poco almeno
involarci potrem. Non ch'io paventi
quella morte, che sfido.
Ma finchè speme di vendetta avanza
amar lice la vita: ed io la serbo,
la serbo ancor questa speranza estrema.
Gli avidi sguardi a quella rocca io sempre
volgo e sospiro. Oh se potessi in quella
volar sull'ali de' pietosi venti,
e rivestir l'usbergo, e a questa mano,
render quel brando, che le tolse il fato!
Tu taci?

CALBO
Io taccio, e fremo.

ERISSO
(Si volge, e vede la tomba dell'estinta consorte.)
Ahimè! qual tomba io veggo!
Della mia sposa il cenere s'asconde
in quella, o Calbo. Ahi, duol!

(S'inginocchia innanzi la tomba.)

Tenera sposa!
In ciel riposi or tu. Così seguìto
pur io t'avessi! D'una iniqua figlia
or non vedrei gli scelerati ardori.

CALBO
Lasso! che dici! E di qual colpa è rea
la misera tua figlia?
Uberto amar credea; nè fu mai colpa
l'esser credulo troppo.

ERISSO
Ed or non siede
di Maometto al fianco?

CALBO
Tratta a forza vi fu. La vidi io stesso
divincolarsi da' feroci sgherri
per ben tre fiate; e vinta alfin, le palme
ergere al cielo quasi fuor di senno;
e mille volte profferìa tuo nome;
e pur da lunge ripeteami… addio!

ERISSO
Vedesti? Udisti? Ma chi sa se poi
non cangiò di consiglio
all'aspetto d'un trono e del periglio?

(Rimane in sommo abbattimento assiso sulla tomba della sposa sua.)

CALBO
Non temer: d'un basso affetto
non fu mai quel cor capace.
Nè saprebbe la sua pace
mai comprar con la viltà.

Del periglio al fiero aspetto
ella intrepida già parmi
impugnar lo scudo e l'armi
d'una bella fedeltà.
E d'un trono alla speranza
dir, con placida sembianza:
basso affetto nel mio petto
nido aver non mai potrà.

ERISSO
Oh, come al cor soavi
mi giungono i tuoi detti!
Voglia propizio il ciel che sien veraci.
Oh figlia! ahi dolce figlia! E a me per sempre
i barbari t'han tolta?

CALBO
Ah! ti conforta.

ERISSO
Confortarmi potrò quando sia morta.

Scena Quarta

(Anna discende precipitosamente nel sotterraneo, seguita da un servo che reca due turbanti e due mantelli turchi.)

ANNA
Padre…

ERISSO
Qual voce!

CALBO
Chi vegg'io!

ANNA
(Correndo al padre.)
M'abbraccia.

ERISSO
Scostati.

ANNA
Ahimè!

ERISSO
Tu sei? sogno o son desto!

ANNA
Mi discacci! E perché?

ERISSO
Pria che risponda,
dimmi, torni mia figlia o mia nemica?

ANNA
Questa impavida fronte a te lo dica.

ERISSO
Di quella tomba appiè dunque lo giura.

ANNA
(Prostrandosi alla tomba.)
Madre, dal cielo in questo cor tu leggi.

ERISSO
(Intenerito corre ad abbracciar la figlia.)
Crederti voglio.

ANNA
E il ver tu credi, o padre,
e a darne prova alta solenne io vengo.
Questo mirate imperial suggello
che or or mi porse Maometto, ond'io
schermo a voi ne facessi, ov'uopo il chiegga.
E ben già vidi quanto in essa è posta
quasi arcana possanza. Egli la rocca
si volse intanto ad assalir, traendo
oste immensa a tal pugna. Or se v'accende
desio d'onor… tenete.

(Offre l'anello al padre.)

Al fuggir vostro
non fia chi opporsi ardisca.

ERISSO
Intendo: oh figlia!
Oh immensa gioia! Porgi.

(Prende l'anello.)

ANNA
Un dio m'ispira,
e maggior di me stessa oggi m'ha fatta.

CALBO
E tu a perir qui resti?
Oh duol!

ANNA
Costanza, o Calbo.
Il suo dover compia ciascuno.

CALBO
Seguirci è forza.

ANNA
Ahimè! nol posso.

CALBO
E come?

ANNA
Avvi lassù nel tempio alcun che veglia
su' miei passi severo. Ignoto è ad esso
che ambi qui siate; e in quelle spoglie ascosi
ingannarlo fia lieve.
Ma noto il mio sembiante.
Oh ciel! già troppo a' musulmani è fatto.
La patria io servo con salvar due prodi;
se me salvar procuro, io la tradisco.
Morir m'è forza: ed io morrò…

(A Calbo)

Ma tua.

CALBO
Che parli?

ANNA
Odimi, o padre:
A lui consorte or dianzi
me destinavi, e, lassa!
la prima volta il voler tuo m'increbbe.
Or chieggo, e prego, e imploro
che il tuo desìo pria di partir tu compia.
Ara non v'ha, nè sacerdote in questo
muto albergo di morte;
ma sacro è un genitor d'innanzi al cielo.
Ara pe' figli è la materna tomba
e i decreti d'un padre Iddio conferma.
Vieni, non più dimora.
degna almen di te morir vogl'io.

(Spingendolo dolcemente verso la tomba.)

ERISSO
(fra sè)
Parlar non posso, che m'affoga il pianto.

ANNA
Calbo, ti stringi al genitor d'accanto.

(Erisso immerso nel pianto, nè potendo profferir parola per la commozione, stringe insieme le destre di Anna e di Calbo, poi le accosta al suo cuore, appoggiandosi sulla tomba ed ergendo gli sguardi al cielo. Durante questa breve azione, la musica darà principio al ritornello del seguente.)

ANNA, CALBO, ERISSO
In questi estremi istanti
è tanto acerbo e nuovo
l'affanno, il duol ch'io provo,
ch'esprimerlo non so.

ANNA
(Facendo cenno che partano al padre ed allo sposo.)
Coraggio.

ERISSO
Io tremo.

CALBO
(fra sè)
Io gelo.

(Al nuovo invito di Anna s'incamminano. Anna è sulla scena. Calbo ed Erisso ascendono la scala.)

ERISSO
Ahi figlia!

CALBO
Oh sposa!

ANNA
A rivederci… in cielo.

Scena Quinta

(Anna, costernata e taciturna, va a sedere sulla tomba materna. Breve silenzio.)

ANNA
Alfin compita è una metà dell'opra.
L'altra a compir mi resta.
un sacrificio è questo,
e la vittima io son. L'ultimo sfogo
t'abbi or nel pianto, o debole natura.
Ora verrà, che sia viltade il pianto.
Ecco del mondo che mi resta!
Un muto, un gelido sepolcro…
e oh me felice se chiusa in questo
con la madre io fossi!
O patria mia, forse avverrà che un giorno
quanto io feci per te saprai tu alfine,
e il mio cenere allor, dovunque ei giaccia,
spontaneo esulterà di esserti sacro.

(Sorge e spinge alcuni passi per la scena)

Or da me lungi ogni terreno affetto!
O morte, il giunger tuo tranquillo aspetto.

(Ascoltasi ad un tratto su nel tempio il seguente.)

LE DONNE
Nume, cui 'l sole è trono,
nume, cui brando è il tuono,
a noi rivolgi il ciglio
nell'ultimo periglio.

ANNA
Pregan nel tempio le mie dolci amiche.

LE DONNE
Il fulmine, deh! accendi;
i figli tuoi difendi.
Rivolgi ad essi il ciglio
nell'ultimo periglio.

ANNA
Ferve dunque la pugna. Ah! vinca il padre,
e lieta allor raggiungerotti, o madre.
Volar nel tempio io pur… No, qui s'attenda
l'ultima ora tremenda.
Mi sento assai più forte
qui fra le tombe ad incontrar la morte.

LE DONNE
Nume, cui 'l sole è trono:
nume, cui brando è il tuono,
il fulmine, deh! accendi:
i figli tuoi difendi.
Rivolgi ad essi il ciglio
nell'ultimo periglio,
e un soffio struggitor
disperda il vincitor.

ANNA
Taccion le preci omai. Chi sa che avvenne?
Chi sa se vinse il genitor? Che parlo,
stolta! Chi sa s'ei prima in salvo
col mio sposo non giunse?
Ahi penosa incertezza, i miei tormenti
tu sol mancavi a render più possenti!

LE DONNE
(Dal tempio)
Anna, ove sei?

ANNA
Quai grida?

LE DONNE
Anna, rispondi.

ANNA
Chieggon di me! Che sia?

(Alcune del coro appariscono sull'alto della scala.)

LE DONNE
Dove t'ascondi?

(Il coro delle donne discende nel sotterraneo.)

Sventurata! fuggir sol ti resta
il furor di vicina tempesta.
Già sul punto di vincer la giostra
sulla rocca Maometto si slancia.
Ecco Erisso improvviso si mostra;
ecco splende di Calbo la lancia.
Odi un grido di gioia fra' vinti;
cadon mille de' barbari estinti,
e al fuggir del superbo signor,
tutto è strage, sconfitta ed orror.
Sventurata! fuggir sol ti resta
il furor di vicina tempesta.
Ognun chiede, fremendo, tua morte.
A supplizio crudel ti destina,
chè per te sol cangiata è la sorte,
per te avvenne cotanta rovina.
Or deh! cedi al pietoso consiglio:
Deh! ci siegui, t'invola al periglio.
In noi fida; la nostra pietà
coronata dal cielo sarà.

ANNA
Vinto i Veneti han dunque?
Trionfa il genitor? lo sposo? Oh gioia!
E ch'io fugga chiedete?
Io che la prima gloria
ho di tanta vittoria?
Fuggir? Ma dove? E per salvar me sola
espor voi tutte all'ultimo periglio?
A' codardi serbate un tal consiglio.

Quella morte che s'avanza
io sospiro e non pavento,
chè l'uscire di speranza
è il più barbaro tormento,
e dell'unica mia speme
non mi resta che il rossor,
onde in queste angosce estreme
la mia vita è nel dolor.
Il dover compiuto omai
ho di figlia e cittadina;
la mia fronte, o ciel, piegai
alla voce tua divina;
ma l'iniquo e dolce affetto
non è spento nel mio cor.
Nella morte il fine aspetto
degli affanni e dell'amor.

LE DONNE
Sarai dunque, ahimè! reciso,
vago fior di gioventù?
Vago fior che il Paradiso
adornò di sue virtù.
Quai strida orribili!
Le ascolti o misera?
Già qui s'appressano
furenti i barbari.

I SOLDATI MUSULMANI
(Di fuori.)
Invan la perfida
invano ascondessi.
Sia pur nell'Erebo
la nostra rabbia,
il suo supplizio
schivar non può.

ANNA
Ed io non pavida gli affronterò.

I SOLDATI MUSULMANI
(Che discendono nel sotterraneo.)
Ecco la perfida.
Su via, trascinasi
fra mille strazi
a spirar l'anima.

(Si slanciano furibondi colle spade ignude per trucidarla.)

ANNA
Ferite.

(Presentando ad essi il petto.)

LE DONNE
Ahimè!

I SOLDATI MUSULMANI
(Si arrestano quasi sbigottiti dal di lei contegno.)
Qual forza incognita
ci arresta il piè?
E pur quest'empia
diva non è.

ANNA
Sì, ferite: il chieggo, il merto;
quelle spade in me volgete,
chè di gloria i più bel serto
già m'appresta amico il ciel.

Madre, a te che sull'Empiro
siedi in placida quiete,
sacro è l'ultimo sospiro
di quest'anima fedel.

LE DONNE
(fra sè)
A que' detti sì pietosi
chi frenar potrebbe il pianto?
Sia d'Italia eterno il vanto
per si bella fedeltà.

I SOLDATI MUSULMANI
(fra sè)
A que' detti generosi
lo stupor c'ingombra il petto.
Su que' labbri, in quell'aspetto
qual dolcezza e maestà!

Scena Sesta

(Maometto, seguìto da Selimo ed altri suoi capitani, giunge precipitoso nel sotterraneo col furore dipinto sul volto. Si avanza e resta immobile per alcun poco, tenendo gli occhi fissi su di Anna. Ella non ardisce guardarlo. Silenzio universal).

MAOMETTO
Già fra le tombe? Oh perfida!
Vana è la tua speranza
di vita assai! T'avanza
all'infamia e al dolor.

ANNA
Da prevenirti, o barbaro
mi resta un ferro ancor.

MAOMETTO
Ciò ch'io ti porsi, or rendimi.

ANNA
Non te'l rendea fra l'armi
lo sposo e il genitor?

MAOMETTO
Che! lo sposo? ad insultarmi!
Lo sposo tuo?
Dì, chi è questi?

ANNA
È Calbo.

MAOMETTO
Calbo dicesti!
consorte! e non german!

ANNA
Sul cenere materno io porsi a lui la mano,
il cenere materno coglie mio sangue ancor.

(Si ferisce.)

MAOMETTO, LE DONNE,
SOLDATI MUSULMANI
T'arresta! t'arresta!
Che istante orribile!
Oh giorno di dolor!
Già muore, oh Dio, la misera!
Oh giorno di dolor!

(Anna cadde morta appiè del sepolcro.)
ATTO SECONDO


(Ricchissimo padiglione di Maometto nel quale si veggono riuniti tutti gli oggetti del lusso orientale)

Scena Prima

(Anna è seduta su di un divano, nel massimo dolore e coprendosi con le mani il volto. Una schiera di donzelle musulmane magnificamente abbigliate la circondano, divise in vari gruppi. Alcune sono inginocchiate dinanzi a lei, offrendole ricchi doni di ogni sorta, altre più indietro sostengono de' vasi di profumi, altre finalmente canteranno il seguente coro)

LE DONZELLE MUSULMANE
È follia sul fior degli anni
chiuder l'alma a' molli affetti,
e penar fra' tanti affanni
d'una rigida virtù.
Finché april arride in viso
sol d'amor sien caldi i petti,
chè l'amar fra gioia e riso
è una dolce servitù.
Quando poi sia bianco il crine
cangerem, cangiando aspetto:
posto il cielo ha quel confine
fra 'l diletto e la virtù.

ANNA
(Sorgendo sdegnata.)
Tacete. Ahimè!
quai detti iniqui ascolto!

(Aggirandosi sbigottita.)

Anna infelice! ahi dove,
ove gli empi m'han tratta? ove!
Involarmi a forza io vuo'
da questo infame albergo.
Libero il varco, olà…

Scena Seconda

MAOMETTO
(Entrando)
T'arresta, e ascolta…

(Ad un cenno di Maometto si ritirano tutte le donzelle.)

Donna, fra l'armi il mio parlar sia breve.
Uberto amasti: ed or cangiato il vedi
in Maometto, nel crudel nemico
di Venezia e de' tuoi. Fiero contrasto
quindi in te sorge fra discordi affetti.
Nè in ciò ti biasmo, anzi laudarti io voglio.
Or di cangiar consiglio
il tempo è giunto.
Io t'amo ancor: t'offro la destra, e il soglio.
Farti regina,
e insiem felice io voglio.
Sì, d'Italia regina
tu meco sederai, che un tanto acquisto
già nella mente, e non indarno, io volgo.
Germano e genitor teco felici
vivran pur'essi e al fianco mio possenti.
Or tu del tuo, del mio destin decidi.
Pensa però che sei già mia conquista,
e ch'io non trovo ancor
chi a me resista.

ANNA
Oggi il ritrovi alfin quella son'io.
Amava Uberto, un mentitor detesto.
Ricuso il soglio, la tua destra abborro.
Teco felice! Io? Regina teco?
Della patria a danno? Ad onta eterna
del padre e mia? Ma a consacrar tal nodo
quel Nume invocherai, se siam nemici
anco appiè degli altari?

(Alquanto commossa.)

A separarci l'universo insorge.

(Prorompe in pianto.)

MAOMETTO
E Maometto adunque
dell'universo a trionfar già sorge.
Anna, tu piangi? Il pianto
pur non è d'odio un segno,

non di superbo sdegno,
ma di pena, o d'amor.

ANNA
(Con l'accento della disperazione.)
Sì, non t'inganni! Ah, tanto
la pena mia s'addoppia,
che in petto or or mi scoppia
pel fiero strazio il cor.

(Poi, vaneggiando.)

Lieta, innocente, un giorno
del padre accanto io vissi,
ma poi mi venne intorno
forse da cupi abissi,
in lusinghiero aspetto,
un più tenero affetto.
L'accolsi, incauta, al seno
Ahi, contra il voler paterno.
Era feral veleno,
che a me porgea l'inferno.
Solo or morir mi resta…
la mia speranza è questa,
altro sperar non so.

MAOMETTO
(Fra sè, osservandola.)
A vaneggiar la misera
dal suo dolore è spinta.
E da' suoi mesti gemiti
la mia fierezza è vinta.
Quel pianto ignoro io solo
se è duolo o infedeltà.
Non so.

(Ad Anna)

Anna, rispondi almeno:
se Uberto avessi accanto,
lo stringeresti al seno?

ANNA
Per me risponde il pianto.

MAOMETTO
Basta.

ANNA
Che dissi!

MAOMETTO
Assai.
Tu m'ami e mia sarai.

ANNA
Signor, t'inganni.

(fra sè)

Io gelo.

MAOMETTO
Vieni.

(Vuole stringerla fra le braccia.)

ANNA
Ti scosta…

(fra sè)

Oh cielo! Non tanta crudeltà.

(a Maometto)

Gli estremi sensi ascolta
d'un lacerato cor.
Amo, ma pria sepolta
che cedere all'amor.
Trionfan questa volta
il cielo e il genitor.
La voce estrema è questa
d'un lacerato cor.

MAOMETTO
Gli accenti estremi ascolta
d'un disperato amor:
tu non sarai più tolta
del mondo al vincitor;
o pur cadrai tu, o stolta,
vittima al mio furor.
La voce estrema è questa
d'un disperato amor.

(Al finir del duetto la musica indicherà un lontano e crescente tumulto.)

MAOMETTO
Ma qual tumulto ascolto? Olà!
Che avvenne?

(Entrano alcune guardie con Selimo.)

SELIMO
Signor, non liete nuove io reco.

MAOMETTO
Oh rabbia!
Parla; che fu?

SELIMO
Dalla rocca respinto
Acmet si vide, e in fuga vil rivolta
la sua falange. Un veneto drappello
s'inoltra audace, e all'apparir suo primo,
al primo grido, da ben cento ignoti
asili balzan fuori, rotando il ferro
con disperato ardir, gli ascosi avanzi
de' già vinti nemici. E lor compagni
raggiungono veloci, ed alla rocca
si traggon salvi; lungo stuol de' nostri
lasciando sul sentier morti, o mal vivi.
Al triste evento con feroci strida
corre all'armi l'esercito, e si sparge
per le vie furibondo; ed ogni ostello
esplorano col ferro…

ANNA
(fra sè)
Ahi padre!

SELIMO
Indarno si frappongono i duci:
ampia è la strage,
il disordine estremo;
ognun dimanda d'Erisso il sangue,
quasi autor primiero dell'improvviso assalto,
e ingiurie acerbe scaglian pur contra te
per la tua troppa ed incauta pietà…

ANNA
(Prostrandosi a Maometto.)
Signor!

MAOMETTO
T'accheta.

(Snuda furiosamente il ferro.)

Schiudansi quelle tende.

(Il fondo del padiglione si apre, e si scopre la piazza della città, già veduta nel primo atto, ingombra di soldati che si aggirano in disordine con le spade ignude.)

Fermate, indegni.

(Avanzandosi fra' soldati, i quali alla sua voce rimangono immobili e sbigottiti.)

Se desio di sangue
anco in voi ferve, negl'inermi petti
ad appagarlo qual viltà vi tragge?
Dalla rocca fuggiste e qui pugnate?
Il mondo conquistar così sperate?
Alla rocca si torna, ed io primiero
indicarne saprò l'arduo sentiero.
All'armi!

I SOLDATI MUSULMANI
(Di fuori.)
All'armi!

I SOLDATI MUSULMANI
(Di dentro.)
All'armi!

(Si ascolta da diversi luoghi un crescente battere di tamburi che chiama i soldati, i quali si schierano in fretta.)

MAOMETTO
E tu donna, fa cor. Finché m'avanza
di possederti ancor l'alta speranza,
il padre tuo securo
ognor vivrà, lo giuro.

ANNA
Tu parti, ahi lassa! intanto. E mal represso
ancor mi sembra il soldatesco sdegno.
Lasciami almen di securtade un pegno.

MAOMETTO
Bastò finora a Maometto un cenno…
Pur farti paga io voglio.
L'imperial suggello, ecco, t'affido.
Del mio poter con questo ad altri io soglio
commetter parte; e non indarno mai.
Arbitra or tu del genitor sarai
e del fratel pur anco; e obbedienti
guerrieri e duci ad ogni cenno avrai.
D'amor l'ultima prova,
Anna, il vedi, io ti porgo.
Trema però se al rieder mio non cangi
il disperato tuo consiglio… trema…
Non io più allor, ma parlerebbe il brando.

(Entrano nel padiglione i duci musulmani, ed annunciano a Maometto che l'esercito è in ordine.)

I DUCI MUSULMANI
A che più tardi ancor?
Frementi,
impazienti
le schiere or solo attendono
il cenno tuo, signor.

MAOMETTO
All'invito generoso
riconosco i miei guerrieri
che si sdegnan del riposo
e lo chiamano viltà.
Dunque il piè volgiamo al campo
della gloria su' sentieri.
Delle nostre spade il lampo
la vittoria desterà.

Dell'onta l'impronta fugace
nel veneto sangue
impavido, audace, appien laverò!
O esangue sul brando, sfidando
la morte, da forte cadrò.

(Incomincia il suono delle musiche militari e l'esercito s'incammina.)

MAOMETTO
(Al guerriero che tiene lo stendardo.)
L'invitto vessillo
mi porgi, guerrier.
Slanciarmi fra l'armi
io primo saprò.

(L'esercito prosiegue a sfilare fra canti guerrieri e lo strepito delle musiche militari.)

I SOLDATI MUSULMANI
Dell'araba tromba
già intorno rimbomba
lo squillo foriero
di stragi e d'orror.

ANNA
(fra sè)
Qual voce celeste
al cor mi ragiona?
Qual foco m'investe
e a compier mi sprona
bell'opra d'onor?

(Parte sollecitamente.)

Scena Terza

(Ampio sotterraneo del tempio, tutto sparso di sepolcri, fra quali sarà notabile a dritta dello spettatore quello della moglie di Paolo Erisso. Erisso e Calbo. All'alzarsi della tela Erisso e Calbo si scorgeranno sugli ultimi gradini della scala, e s'inoltrano lentamente)

ERISSO
Seguimi, o Calbo. Fra' muti sepolcri
de' barbari al furor per poco almeno
involarci potrem. Non ch'io paventi
quella morte, che sfido.
Ma finchè speme di vendetta avanza
amar lice la vita: ed io la serbo,
la serbo ancor questa speranza estrema.
Gli avidi sguardi a quella rocca io sempre
volgo e sospiro. Oh se potessi in quella
volar sull'ali de' pietosi venti,
e rivestir l'usbergo, e a questa mano,
render quel brando, che le tolse il fato!
Tu taci?

CALBO
Io taccio, e fremo.

ERISSO
(Si volge, e vede la tomba dell'estinta consorte.)
Ahimè! qual tomba io veggo!
Della mia sposa il cenere s'asconde
in quella, o Calbo. Ahi, duol!

(S'inginocchia innanzi la tomba.)

Tenera sposa!
In ciel riposi or tu. Così seguìto
pur io t'avessi! D'una iniqua figlia
or non vedrei gli scelerati ardori.

CALBO
Lasso! che dici! E di qual colpa è rea
la misera tua figlia?
Uberto amar credea; nè fu mai colpa
l'esser credulo troppo.

ERISSO
Ed or non siede
di Maometto al fianco?

CALBO
Tratta a forza vi fu. La vidi io stesso
divincolarsi da' feroci sgherri
per ben tre fiate; e vinta alfin, le palme
ergere al cielo quasi fuor di senno;
e mille volte profferìa tuo nome;
e pur da lunge ripeteami… addio!

ERISSO
Vedesti? Udisti? Ma chi sa se poi
non cangiò di consiglio
all'aspetto d'un trono e del periglio?

(Rimane in sommo abbattimento assiso sulla tomba della sposa sua.)

CALBO
Non temer: d'un basso affetto
non fu mai quel cor capace.
Nè saprebbe la sua pace
mai comprar con la viltà.

Del periglio al fiero aspetto
ella intrepida già parmi
impugnar lo scudo e l'armi
d'una bella fedeltà.
E d'un trono alla speranza
dir, con placida sembianza:
basso affetto nel mio petto
nido aver non mai potrà.

ERISSO
Oh, come al cor soavi
mi giungono i tuoi detti!
Voglia propizio il ciel che sien veraci.
Oh figlia! ahi dolce figlia! E a me per sempre
i barbari t'han tolta?

CALBO
Ah! ti conforta.

ERISSO
Confortarmi potrò quando sia morta.

Scena Quarta

(Anna discende precipitosamente nel sotterraneo, seguita da un servo che reca due turbanti e due mantelli turchi.)

ANNA
Padre…

ERISSO
Qual voce!

CALBO
Chi vegg'io!

ANNA
(Correndo al padre.)
M'abbraccia.

ERISSO
Scostati.

ANNA
Ahimè!

ERISSO
Tu sei? sogno o son desto!

ANNA
Mi discacci! E perché?

ERISSO
Pria che risponda,
dimmi, torni mia figlia o mia nemica?

ANNA
Questa impavida fronte a te lo dica.

ERISSO
Di quella tomba appiè dunque lo giura.

ANNA
(Prostrandosi alla tomba.)
Madre, dal cielo in questo cor tu leggi.

ERISSO
(Intenerito corre ad abbracciar la figlia.)
Crederti voglio.

ANNA
E il ver tu credi, o padre,
e a darne prova alta solenne io vengo.
Questo mirate imperial suggello
che or or mi porse Maometto, ond'io
schermo a voi ne facessi, ov'uopo il chiegga.
E ben già vidi quanto in essa è posta
quasi arcana possanza. Egli la rocca
si volse intanto ad assalir, traendo
oste immensa a tal pugna. Or se v'accende
desio d'onor… tenete.

(Offre l'anello al padre.)

Al fuggir vostro
non fia chi opporsi ardisca.

ERISSO
Intendo: oh figlia!
Oh immensa gioia! Porgi.

(Prende l'anello.)

ANNA
Un dio m'ispira,
e maggior di me stessa oggi m'ha fatta.

CALBO
E tu a perir qui resti?
Oh duol!

ANNA
Costanza, o Calbo.
Il suo dover compia ciascuno.

CALBO
Seguirci è forza.

ANNA
Ahimè! nol posso.

CALBO
E come?

ANNA
Avvi lassù nel tempio alcun che veglia
su' miei passi severo. Ignoto è ad esso
che ambi qui siate; e in quelle spoglie ascosi
ingannarlo fia lieve.
Ma noto il mio sembiante.
Oh ciel! già troppo a' musulmani è fatto.
La patria io servo con salvar due prodi;
se me salvar procuro, io la tradisco.
Morir m'è forza: ed io morrò…

(A Calbo)

Ma tua.

CALBO
Che parli?

ANNA
Odimi, o padre:
A lui consorte or dianzi
me destinavi, e, lassa!
la prima volta il voler tuo m'increbbe.
Or chieggo, e prego, e imploro
che il tuo desìo pria di partir tu compia.
Ara non v'ha, nè sacerdote in questo
muto albergo di morte;
ma sacro è un genitor d'innanzi al cielo.
Ara pe' figli è la materna tomba
e i decreti d'un padre Iddio conferma.
Vieni, non più dimora.
degna almen di te morir vogl'io.

(Spingendolo dolcemente verso la tomba.)

ERISSO
(fra sè)
Parlar non posso, che m'affoga il pianto.

ANNA
Calbo, ti stringi al genitor d'accanto.

(Erisso immerso nel pianto, nè potendo profferir parola per la commozione, stringe insieme le destre di Anna e di Calbo, poi le accosta al suo cuore, appoggiandosi sulla tomba ed ergendo gli sguardi al cielo. Durante questa breve azione, la musica darà principio al ritornello del seguente.)

ANNA, CALBO, ERISSO
In questi estremi istanti
è tanto acerbo e nuovo
l'affanno, il duol ch'io provo,
ch'esprimerlo non so.

ANNA
(Facendo cenno che partano al padre ed allo sposo.)
Coraggio.

ERISSO
Io tremo.

CALBO
(fra sè)
Io gelo.

(Al nuovo invito di Anna s'incamminano. Anna è sulla scena. Calbo ed Erisso ascendono la scala.)

ERISSO
Ahi figlia!

CALBO
Oh sposa!

ANNA
A rivederci… in cielo.

Scena Quinta

(Anna, costernata e taciturna, va a sedere sulla tomba materna. Breve silenzio.)

ANNA
Alfin compita è una metà dell'opra.
L'altra a compir mi resta.
un sacrificio è questo,
e la vittima io son. L'ultimo sfogo
t'abbi or nel pianto, o debole natura.
Ora verrà, che sia viltade il pianto.
Ecco del mondo che mi resta!
Un muto, un gelido sepolcro…
e oh me felice se chiusa in questo
con la madre io fossi!
O patria mia, forse avverrà che un giorno
quanto io feci per te saprai tu alfine,
e il mio cenere allor, dovunque ei giaccia,
spontaneo esulterà di esserti sacro.

(Sorge e spinge alcuni passi per la scena)

Or da me lungi ogni terreno affetto!
O morte, il giunger tuo tranquillo aspetto.

(Ascoltasi ad un tratto su nel tempio il seguente.)

LE DONNE
Nume, cui 'l sole è trono,
nume, cui brando è il tuono,
a noi rivolgi il ciglio
nell'ultimo periglio.

ANNA
Pregan nel tempio le mie dolci amiche.

LE DONNE
Il fulmine, deh! accendi;
i figli tuoi difendi.
Rivolgi ad essi il ciglio
nell'ultimo periglio.

ANNA
Ferve dunque la pugna. Ah! vinca il padre,
e lieta allor raggiungerotti, o madre.
Volar nel tempio io pur… No, qui s'attenda
l'ultima ora tremenda.
Mi sento assai più forte
qui fra le tombe ad incontrar la morte.

LE DONNE
Nume, cui 'l sole è trono:
nume, cui brando è il tuono,
il fulmine, deh! accendi:
i figli tuoi difendi.
Rivolgi ad essi il ciglio
nell'ultimo periglio,
e un soffio struggitor
disperda il vincitor.

ANNA
Taccion le preci omai. Chi sa che avvenne?
Chi sa se vinse il genitor? Che parlo,
stolta! Chi sa s'ei prima in salvo
col mio sposo non giunse?
Ahi penosa incertezza, i miei tormenti
tu sol mancavi a render più possenti!

LE DONNE
(Dal tempio)
Anna, ove sei?

ANNA
Quai grida?

LE DONNE
Anna, rispondi.

ANNA
Chieggon di me! Che sia?

(Alcune del coro appariscono sull'alto della scala.)

LE DONNE
Dove t'ascondi?

(Il coro delle donne discende nel sotterraneo.)

Sventurata! fuggir sol ti resta
il furor di vicina tempesta.
Già sul punto di vincer la giostra
sulla rocca Maometto si slancia.
Ecco Erisso improvviso si mostra;
ecco splende di Calbo la lancia.
Odi un grido di gioia fra' vinti;
cadon mille de' barbari estinti,
e al fuggir del superbo signor,
tutto è strage, sconfitta ed orror.
Sventurata! fuggir sol ti resta
il furor di vicina tempesta.
Ognun chiede, fremendo, tua morte.
A supplizio crudel ti destina,
chè per te sol cangiata è la sorte,
per te avvenne cotanta rovina.
Or deh! cedi al pietoso consiglio:
Deh! ci siegui, t'invola al periglio.
In noi fida; la nostra pietà
coronata dal cielo sarà.

ANNA
Vinto i Veneti han dunque?
Trionfa il genitor? lo sposo? Oh gioia!
E ch'io fugga chiedete?
Io che la prima gloria
ho di tanta vittoria?
Fuggir? Ma dove? E per salvar me sola
espor voi tutte all'ultimo periglio?
A' codardi serbate un tal consiglio.

Quella morte che s'avanza
io sospiro e non pavento,
chè l'uscire di speranza
è il più barbaro tormento,
e dell'unica mia speme
non mi resta che il rossor,
onde in queste angosce estreme
la mia vita è nel dolor.
Il dover compiuto omai
ho di figlia e cittadina;
la mia fronte, o ciel, piegai
alla voce tua divina;
ma l'iniquo e dolce affetto
non è spento nel mio cor.
Nella morte il fine aspetto
degli affanni e dell'amor.

LE DONNE
Sarai dunque, ahimè! reciso,
vago fior di gioventù?
Vago fior che il Paradiso
adornò di sue virtù.
Quai strida orribili!
Le ascolti o misera?
Già qui s'appressano
furenti i barbari.

I SOLDATI MUSULMANI
(Di fuori.)
Invan la perfida
invano ascondessi.
Sia pur nell'Erebo
la nostra rabbia,
il suo supplizio
schivar non può.

ANNA
Ed io non pavida gli affronterò.

I SOLDATI MUSULMANI
(Che discendono nel sotterraneo.)
Ecco la perfida.
Su via, trascinasi
fra mille strazi
a spirar l'anima.

(Si slanciano furibondi colle spade ignude per trucidarla.)

ANNA
Ferite.

(Presentando ad essi il petto.)

LE DONNE
Ahimè!

I SOLDATI MUSULMANI
(Si arrestano quasi sbigottiti dal di lei contegno.)
Qual forza incognita
ci arresta il piè?
E pur quest'empia
diva non è.

ANNA
Sì, ferite: il chieggo, il merto;
quelle spade in me volgete,
chè di gloria i più bel serto
già m'appresta amico il ciel.

Madre, a te che sull'Empiro
siedi in placida quiete,
sacro è l'ultimo sospiro
di quest'anima fedel.

LE DONNE
(fra sè)
A que' detti sì pietosi
chi frenar potrebbe il pianto?
Sia d'Italia eterno il vanto
per si bella fedeltà.

I SOLDATI MUSULMANI
(fra sè)
A que' detti generosi
lo stupor c'ingombra il petto.
Su que' labbri, in quell'aspetto
qual dolcezza e maestà!

Scena Sesta

(Maometto, seguìto da Selimo ed altri suoi capitani, giunge precipitoso nel sotterraneo col furore dipinto sul volto. Si avanza e resta immobile per alcun poco, tenendo gli occhi fissi su di Anna. Ella non ardisce guardarlo. Silenzio universal).

MAOMETTO
Già fra le tombe? Oh perfida!
Vana è la tua speranza
di vita assai! T'avanza
all'infamia e al dolor.

ANNA
Da prevenirti, o barbaro
mi resta un ferro ancor.

MAOMETTO
Ciò ch'io ti porsi, or rendimi.

ANNA
Non te'l rendea fra l'armi
lo sposo e il genitor?

MAOMETTO
Che! lo sposo? ad insultarmi!
Lo sposo tuo?
Dì, chi è questi?

ANNA
È Calbo.

MAOMETTO
Calbo dicesti!
consorte! e non german!

ANNA
Sul cenere materno io porsi a lui la mano,
il cenere materno coglie mio sangue ancor.

(Si ferisce.)

MAOMETTO, LE DONNE,
SOLDATI MUSULMANI
T'arresta! t'arresta!
Che istante orribile!
Oh giorno di dolor!
Già muore, oh Dio, la misera!
Oh giorno di dolor!

(Anna cadde morta appiè del sepolcro.)
最終更新:2017年01月04日 11:57